giovedì 5 maggio 2011

PER UN SORSO DI VINO: EXTRAVITI

Corpose pennellate verde smeraldo screziate d’ocra ammantavano la superficie terrestre come un vestito da sera.  Ordinati filari di viti si estendevano sulla crosta terrestre dalle aree desertiche, alle temperate fino alle zone artiche senza difficoltà. Acini dalla polpa aromatica e succosa maturavano al sole, gareggiando in rotondità e cromatismo.
John Muratore udì un colpo, poi un altro. Le piccole particelle di materiale solido che erano apparse all’improvviso nella sua traiettoria di volo avevano danneggiato l’X-46. Vide staccarsi l’alettone all’estremità del corpo alare principale e scomparire alle sue spalle. Aveva mantenuto la freddezza di un pilota esperto durante quei pochi secondi di scarsa visibilità, ma i comandi continuavano a rimanere fuori controllo. Attraversò l’esosfera, la termosfera, la mesosfera e la stratosfera. Virò a destra in cerca di uno spazio libero dove atterrare, perse il controllo del veicolo e spanciò tra i filari di viti per circa cinquecento metri.
John Muratore sollevò il corpo mobile della cabina di pilotaggio e sgusciò all’esterno. Inspirò profondamente, mentre fissava con dispiacere le viti abbattute dal suo veicolo. La NASA avrebbe ripagato generosamente l’agricoltore per i danni, si tranquillizzò. Il profumo vinoso e intenso che avvolgeva l’aria come un fresco lenzuolo di lino, le foglie trilobate e inondate dal sole, il rubino violaceo dell’uva gli fece venir voglia di assaporare un bicchiere di vino. Si guardò intorno. Il frastuono dell’atterraggio avrebbe dovuto attirare il proprietario e i suoi lavoranti da un pezzo, si disse, non vedendo accorrere nessuno. Il silenzio che circondava la zona era inquietante. John Muratore si solleticò inutilmente il padiglione auricolare nel tentativo di udire qualunque suono ad eccezione della brezza, alzatasi dalle colline circostanti. Camminò lungo i filari, raggiungendo le cantine a poca distanza. La struttura interna sembrava rispecchiare le tradizioni più antiche di trasformazione, stoccaggio e imbottigliamento del vino. Sui due lati della cantina, allineate su basi di cemento, c’erano le botti di rovere, ciascuna con un codice magnetico al centro. John Muratore prese una siringa di gomma e la infilò in una delle botti; aspirò qualche millilitro di vino all’interno del bulbo e versò il contenuto in uno dei bicchieri puliti posti su di un tavolo al centro del corridoio. Aspirò il profumo ampio e avvolgente del vino, in cui le sfumature floreali di viola e mammola si fondevano con le note del ribes, ciliegia e amarena. Inclinò il bicchiere per ammirare le sfumature rosso scuro alla base che si schiudevano in porpora  più chiara con un bordo leggermente marrone. Prese un sorso e lo passò da un lato all’altro della bocca. Il sapore secco su base ancora ampia e vellutata lo appagò completamente. Avrebbe voluto concedersi un secondo bicchiere, ma il frastuono di un trattore lo convinse ad uscire ed a inseguirlo. Il trattore era completamente robotizzato. John Muratore si guardò intorno ancora una volta. Una torre dalla forma circolare si elevava verso il cielo a poche centinaia di metri dalle cantine. La raggiunse di corsa, prese l’ascensore e entrò nella sala circolare.
Una decina di extraterrestri lo accolse, allungandogli il libro sul vino che John Muratore aveva scritto in memoria di suo nonno viticoltore.
<È l’unico documento che abbiamo trovato sulla terra dopo la scomparsa di tutti gli esseri viventi, circa tre milioni di anni fa.> Gli spiegò uno degli extraterrestri in tono metallico. <Abbiamo debellato il virus che vi ha uccisi, ma siamo riusciti a riportare in vita solo le viti.>
John Muratore non credette ai suoi occhi quando gli  venne proposto di scambiare l’antidoto per salvare il mondo con una ricetta per produrre uno dei vini da lui solo menzionati nel testo. Un brindisi sancì il loro accordo, prima che John ripercorrendo con l’ X-46 il buco nero che aveva deviato la sua rotta, ritornasse al tempo presente.

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