Scruto il cielo grigio, mentre il traghetto si insinua negli stretti canali della laguna veneziana.
Dall’acqua, grigia come il cielo, sale la nebbia che avvolge ogni cosa, alterando i contorni di tutto, perfino i suoni sembrano appartenere a un mondo irreale, così solitari, scanditi rimbombano nel silenzio.
L’intervista è fissata nel palazzo dove vive Joe Lake, l’autore del best-seller dal titolo “Mr. Bonnet”. È un palazzo decadente: pietre rose striate di verde emergono dall’intonaco biancastro della facciata, i battenti del portone, come pure quelli dei balconi sono rigorosamente chiusi, di un colore verdastro che, un tempo, doveva essere brillante, ma ora è miseramente sbiadito. L’atmosfera è decisamente inquietante, in perfetto stile ‘Joe Lake’.
Ad aumentare la sensazione di trovarmi in un posto creato apposta per incutermi ansia e sgomento è un grifone scolpito nel legno del portone, il quale, emergendo quasi tutto dall’infisso, mi accoglie con aria truce e minacciosa.
Casa ispirante?
Una vincita al gioco di mio nonno. Ha perso tutto, ma questo palazzo non è mai riuscito a giocarselo. Dicono sia maledetto (confessa a voce bassa).
Ereditato dal nonno inglese o da quello italiano? ( mi viene in mente d’aver letto qualcosa in proposito alla sua biografia) Perché tu sei per metà inglese e per l’altra metà di nazionalità italiana, vero? ( Attendo la conferma, mentre osservo Joe mordicchiarsi il labbro inferiore)
Nonno inglese. (Taglia corto). Era un accanito giocatore, ma un deludente business man.
E… veniamo al tuo romanzo ‘Mr. Bonnet’ appunto, pubblicato dalla Uni Service. Se non sbaglio Mr. Bonnet farebbe, tradotto in italiano, ‘Il Signor Cuffietta’.
Da cosa nasce un titolo così insolito?
Beh, diciamo, che l’ispirazione mi è venuta pensando al copricapo tradizionale adottato in alcune culture come quella Hamish, per esempio, ma ce ne sono altre di spiegazioni.
Questo particolare copricapo a cuffietta fanno parte di una certa cultura tradizionalista, indossato da persone legate a stereotipi, ad un idealismo religioso bigotto e poco incline ad aprirsi e a rinnovarsi, un tipo di società chiusa in sé stessa, dominata da un rigorismo dei comportamenti, che giudica in base alle apparenze.
Atteggiamenti ipocriti vuoi dire? (Puntualizzo io).
Senza dubbio … È proprio l’atteggiamento del mio protagonista, Dick Murry. Lui appare come un multimiliardario, quasi femminista nel suo voler estromettere le cheerleader dalla sua squadra di rugby perché vestite in modo troppo in modo troppo succinto e provocatorio. In realtà, agisce così soltanto per compiacere la moglie e tutta una sfera di benpensanti vicina al mondo del rugby. Ma la decisione di Murry risulterà anacronistica e soprattutto ridicola agli occhi del mondo.
Anacronistica? (Ribadisco)
Sì, perché Dick Murry non ha quella moralità che si ostina a mostrare. La sua decisione è plateale. Dick compiace la moglie nel voler rivestire le sue cheerleader, ma non si scaglia contro il concetto di “donna oggetto”. Usa semplicemente questo atteggiamento moralistico per salire alla ribalta dei riflettori.
Avverto i lettori che, se all’inizio Dick Murry viene maltrattato duramente, in seguito, la sua persona risulta incredibilmente affascinante. Personalmente confesso che me ne sono innamorata perdutamente.
Se ti piacciono i multimiliardari piagnucolosi (scherza) … però è vero …Dick Murry cresce durante il romanzo, quando conosce e impara a confrontarsi con Tess Bellamy, l’altra protagonista.
La Presidentessa della squadra di rugby rivale, gli Warriors, (specifico) Ecco. …venendo a Tess Bellamy, ho letto in twitter delle critiche feroci sulla sua eccessiva mascolinità, come rispondi in proposito?
Ti assicuro che quelle critiche erano di lettori fermi ancora alle prime pagine (giura con le mani sul cuore) perché quegli stessi lettori mi hanno poi scritto di aver amato più di tutti proprio Tess Bellamy che io non considero affatto “poco femminile”. Lei è sì una donna, ma anche il capitano di uno sport prettamente maschile, come il rugby. Tess deve, per forza, possedere un carattere deciso e determinato, mica potevo darle un linguaggio “patinato”, così sarebbe risultato falso, quasi come voler prendermi gioco del lettore.
Quindi per te, Tess è femminile?
Sì. Tu pensi che una donna perda la sua femminilità se, talvolta, usa un linguaggio tipicamente maschile o mostri atteggiamenti fortemente incisivi? (mi risponde con un’altra domanda).
In realtà, Tess ha una grande sensibilità indipendentemente dal suo linguaggio. A dimostrazione di ciò sono i suoi sentimenti, il suo atteggiamento altruistico che va oltre un linguaggio asciutto e privo di stucchevolezze.
Mr. Bonnet è sicuramente un thriller, ma qui è presente anche dell’horror. Perché mescolare due generi (il thriller poliziesco e l’horror?)
La vita di tutti i giorni è piena di horror, basta accendere la TV, guardare un TG o leggere un giornale, ci arrivano notizie e fatti che spesso sono ben più terrificanti della trama di un romanzo dell’horror, quindi negarle in una narrazione sarebbe come negare la realtà.
Ma tu quale genere preferisci?
Non ho un genere preciso. Nei miei romanzi mi piace spaziare. Quando scrivo cerco di non annoiarmi e soprattutto di non annoiare il lettore.
Mi hai mostrato la stanza dove tieni le foto, i gagets. Le coppe, i palloni da rugby e le magliette descritte nel romanzo, ma come nasce veramente un romanzo?
Davanti al computer (vedo i suoi occhi scintillare) la pagina bianca mi cattura, mi risucchia e mi domina.
Come in un libro di Stephen King?
Annuisce e ride senza aggiungere altro.
E le altre stanze? (incalzo curiosa) perché alcune sono piene di oggetti terrificanti?
Sono i miei romanzi scritti, ma non ancora pubblicati. Per ogni romanzo raccolgo oggetti, informazioni, notizie che poi metto in una stanza ad esso dedicata, quasi un omaggio e un rito propiziatorio. Vuoi vederne qualcuna?
Accetto con titubanza l’invito, ma non so come ne uscirò …
LEO blogger
Giulia